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L’Ape Mellifera Siciliana

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L' Ape Mellifera Siciliana

Tesi della Dott.ssa Concita Blancato

L’Apis mellifera L. è annoverata tra gli insetti più noti, in quanto risulta essere tra le specie con la più complessa organizzazione sociale. Oltre ai tanti prodotti ricavabili dal suo allevamento, è importante non dimenticare l’indispensabile attività pronuba che essa compie per l’agricoltura e per l’ambiente.
L’apicoltura siciliana vanta origini antichissime, in quanto terra crocevia di popoli e culture che hanno permesso lo sviluppo delle tecniche apistiche. Secondo gli storici, le più antiche testimonianze risalgono al 1250 a.C., quando Pantalica, nei monti Iblei, era considerata la capitale del regno del mitico Hyblon, re del popolo delle api. Tuttavia, le prime documentazioni scritte risalgono all’epoca della Magna Grecia, precisamente al 300 a.C. con gli Idilli bucolici di Teocrito, il quale decantava il miele e le api del territorio Ibleo: altra testimonianza dell’antico legame tra l’apicoltura e questo territorio, che ancora oggi permane. Infatti, Sortino, piccolo comune dei monti Iblei, è inserito tra le “città del miele” presenti sul territorio nazionale e in cui ogni anno, tra la fine di settembre e i primi di ottobre, viene organizzata la rinomata ‘Sagra del miele’, che attira tantissimi visitatori.
Caratteristica dell’apicoltura tradizionale sicula era l’allevamento della sottospecie autoctona del nostro territorio, ovvero l’Apis mellifera siciliana, conosciuta anche come l’ape nera; per quest’ultima venivano utilizzate le tipiche arnie orizzontali costruite in legno di ferula (Ferula communis L.), pianta spontanea diffusa nell’isola, i cui fusti secchi venivano tagliati in piccoli pezzi (rocchetto), forati e assemblati. Si otteneva così un parallelepipedo a sezione quadrangolare di cm 19x19x81. La superficie esterna veniva stuccata con sterco bovino per chiudere le fessure e ottenere una migliore coibentazione. Tali arnie erano sistemate all’interno di postazioni scavate nella roccia, capace di contenerne oltre 100. Queste ultime venivano denominate “fasceddi”, e da qui il nome di “fasciddari” attribuito agli apicoltori – costruttori di arnie. Un’altra delle caratteristiche dell’apicoltura siciliana tradizionale era il nomadismo, ovvero il trasferimento degli alveari nei luoghi in cui vi erano piante nettarifere in fioritura. Gli apicoltori utilizzavano dei “carri da nomadismo” ben molleggiati e adatti a percorrere le strade dissestate, oppure dei muli robusti e docili per poter raggiungere i luoghi più impervi. Tuttavia, dagli inizi del 900, con il diffondersi del progresso scientifico e l’introduzione di tecniche innovative, vennero introdotte le arnie razionali (attualmente impiegate da tutti gli apicoltori siciliani). La moderna apicoltura ebbe la sua massima affermazione solo intorno agli anni ’70 e ’80, ovvero quando le colonie di A. m. siciliana furono decimate a causa dell’acaro parassita Varroa destructor, il quale risultò impossibile da combattere con le arnie orizzontali di ferula. Inoltre, nel corso degli anni, tendendo a massimizzare la produttività dei propri alveari, molti apicoltori siciliani introdussero le api regine di altre sottospecie continentali, tra le quali l’A. m. ligustica, originaria del nord Italia. Tali sciami e regine si incrociarono liberamente tra loro e con le popolazioni indigene, compromettendo così la purezza della razza autoctona siciliana e portando al diffondersi di popolazioni di api ibride. Sulla base di quanto recita l’art 1 della legge nazionale dell’apicoltura (Lg 313/2004), è bene ricordare l’importanza che questa attività ricopre ai fini della conservazione dell’ambiente naturale, dell’ecosistema e dell’agricoltura in generale, garantendo sia l’impollinazione naturale che il mantenimento della biodiversità delle specie apistiche. In tale ottica, essenziali risultano essere le azioni di salvaguardia delle popolazioni autoctone tipiche. Da questo concetto chiave, nasce il mio interesse nell’approfondire la storia e l’evoluzione dell’A.m. siciliana, specie endemica del nostro territorio. La sottospecie siciliana si è differenziata dalle altre sottospecie affini grazie alla sua origine insulare.

 

Nel corso degli anni sono stati condotti diversi studi riguardanti l’individuazione della sua linea evolutiva. Tramite analisi genetiche, biochimiche e molecolari, è stato possibile analizzare i rapporti filogenetici tra i vari rami evolutivi. Ad oggi, l’ape siciliana si può definire un ponte filogenetico tra le specie africane e europee, in quanto occupa una posizione intermedia fra le sottospecie continentali e la nord-africana A. m. intermissa. Morfologicamente, la sottospecie si riconosce per via della colorazione nera sia del 2° che del 3° tergite addominale, che presentano al massimo delle macchie gialle. Inoltre, osservando i peli del torace delle api operaie e dei fuchi è evidente una colorazione giallastra e non bruna o grigia come nelle altre razze scure. A livello morfometrico, se confrontata con la vicina ligustica, si possono riscontrare le seguenti differenze: l’A. m. siciliana presenta le ali anteriori più piccole e più strette, la proboscide più corta e i peli un po’ più lunghi. All’interno della società complessa delle api, è importante attenzionare le caratteristiche bio-etologiche che contraddistinguono le varie sottospecie. A tal proposito, l’associazione internazionale di ricerca COLOSS (Prevention of honey bee COlony LOSSes) ha predisposto l’esperimento GEI (Genotype-Environment-Interactions Experiment) al fine di valutare le caratteristiche comportamentali di più sottospecie prese in esame. Ciò che è emerso è che l’A.m. siciliana, endemica del territorio siculo, si adatta bene alle condizioni climatiche, mostrandosi docile quando manipolata. In particolare, il suo comportamento difensivo, ovvero la capacità di riconoscere i predatori e di difendere il proprio alveare, si osserva soprattutto contro la Vespa orientalis, in quanto la strategia difensiva utilizzata prevede l’interruzione dei voli durante le ore più calde della giornata, cioè quando il predatore risulta essere più attivo. Presenta, inoltre, un discreto comportamento igienico, riesce quindi a rimuovere la covata morta, malata o infetta di celle ancora chiuse. Rispetto alle sottospecie europee, ha un differente comportamento riproduttivo. 

di una regina seguita da una parte delle operaie. Inoltre, nelle popolazioni di A. m. siciliana, durante il periodo di preparazione alla sciamatura, vengono allevate più regine contemporaneamente, da 1 a 33 individui. Infine, similmente alle sottospecie africane, è possibile osservare una poliginia temporanea stagionale, cioè la presenza simultanea sia dell’ape regina madre che delle api regine figlie ancora vergini (da 2 a 13 regine coesistenti). Un fenomeno simile avviene nelle api del nord Africa (A. m. intermissa), dell’Egitto (A. m. lamarckii) e della Siria (A. m. syriaca). Sotto questo aspetto, l’ape siciliana è completamente isolata dalla ligustica e dalle sottospecie europee. Caratteristica importante risulta essere anche l’allevamento di covata, la quale è costante quasi tutto l’anno, ad eccezione di un breve periodo tra novembre e dicembre; questo le permette di essere particolarmente apprezzata come razza idonea per il servizio di impollinazione serricolo a partire dal mese di gennaio. Infine, da un recente studio, è emerso che il miele prodotto dall’ape siciliana si presenta con un elevato contenuto di polifenoli ed una elevata capacità antiossidante.

Le caratteristiche bio-etologiche di questa razza sono sempre più apprezzate e ciò sta portando, nel corso degli ultimi anni, ad un sempre maggiore consenso tra gli apicoltori verso l’allevamento di tale sottospecie autoctona. A tal proposito, è bene sottolineare l’importante progetto di reintroduzione e conservazione che ha permesso di evitare la totale soppressione dell’ape siciliana.

 

Come precedentemente accennato, intorno agli anni 70’ e 80’ del XX secolo, si assistette ad una massiccia importazione di A.m. ligustica e di ulteriori regine ibride (Apis mellifera x Buckfast), che determinò l’estinzione in purezza della sottospecie autoctona. Tuttavia, nel 1988, furono ritrovate alcune famiglie abbandonate di A. m. siciliana nei pressi di Carini (PA). Grazie al professore Genduso, docente di Entomologia agraria dell’Università di Palermo, e alla passione di Carlo Amodeo (apicoltore), fu immediato l’intervento di un allevamento in purezza dapprima sull’isola di Ustica e poi, con l’avvio di un vero e proprio progetto di salvaguardia, furono trasferite anche sulle isole di Vulcano, Alicudi e Filicudi.

 

Successivamente, dal 2012 fu avviato il progetto intitolato “Reintroduzione e conservazione della sottospecie a rischio di estinzione Apis mellifera siciliana”, conosciuto con l’acronimo di APESLOW e realizzato grazie al finanziamento della Regione Siciliana e al sostegno di diversi partner, tra cui istituzioni e apicoltori, come CRA-API, l’Università di Catania e di Palermo, l’Istituto Zooprofilattico della Sicilia, la SOAT di Collesano, SLOW FOOD e API – AMO (Apicoltura Amodeo di Amodeo Carlo). L’obiettivo principale prevedeva la reintroduzione della sottospecie A. m. siciliana prevalentemente nella parte Occidentale, tra le province di Agrigento, Palermo e Trapani. A tal fine, furono individuate delle zone di protezione dell’ape siciliana in cui è possibile l’allevamento in purezza e la valorizzazione dell’ape autoctona. Altri obiettivi furono la creazione di stazioni di fecondazione, la valorizzazione dell’A. m. siciliana per incentivare il numero di allevatori certificati di regine dell’ape nera, il trasferimento tecnologico e metodologico e la divulgazione di informazioni circa la gestione di questa razza autoctona e la diffusione di una maggiore consapevolezza circa l’importanza di una corretta tutela del nostro patrimonio apistico.

L’apicoltura siciliana rappresenta un’importante realtà economica della nostra isola: la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio, sia entomologico che storico-culturale, deve essere un concetto chiave per poter dare il giusto valore aggiunto ai prodotti isolani.

L’ape nera sicula, così come gli impollinatori selvatici in generale, rappresenta una ricchezza per il nostro ecosistema; importante comprendere come la salvaguardia di una specie autoctona, che ben si adatta alle condizioni climatiche del nostro territorio, sia indispensabile per la tutela del nostro ambiente e della nostra straordinaria biodiversità, poiché contribuisce all’impollinazione di circa l’80% delle piante spontanee.

Università degli studi di Palermo 
Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali

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